5 idee per sentirsi bene al lavoro (senza pretendere la perfezione)

Problema 1

Non mi sento riconosciuta per il mio valore – Chi non si è mai sentito così al lavoro? A chi non fa piacere ricevere un apprezzamento, del tipo “Lavoro ben fatto”? Però, onestamente, non ê un po’ rischioso basare la nostra motivazione sull’apprezzamento degli altri? Prova a fare questo esercizio: tutti i giorni prendi nota di una cosa positiva che hai fatto al lavoro. Una relazione scritta bene, una riunione gestita in modo efficace, una pausa caffè produttiva…poi celebra questo successo. Esci a cena con dei colleghi, o degli amici, o il tuo partner, ma se nessuno ha tempo, esci anche da sola o preparati una cenetta con i fiocchi. Il successo non è necessariamente avere una villa in Costa Smeralda o una Ferrari. Il successo si misura nelle piccole cose quotidiane e va celebrato sempre. Comprati dei fiori e portali al lavoro. Se ti chiedono perché, rispondi perché sei brava e simpatica. Poi, osserva il cambiamento…

Problema n. 2

La mia vita gira intorno al mio lavoro.

In francese si dice “Metro, boulot, dodo”, che significa “Metro, lavoro, nanna”. Non è entusiasmante, vero? Spesso, purtroppo, è così. Cosa fai per cambiare questo? Ti prendi mai del tempo da dedicare a te stessa? Non deve passare un giorno senza che tu abbia dedicato del tempo a te stessa. Leggere quell’articolo sulla tua rivista preferita o sul blog della tua amica (cioè il mio…), andare in palestra o a fare una passeggiata nel giardino vicino a casa, chiamare tua madre o quell’amica che da tanto tempo non senti…dovresti dedicare a te stessa almeno mezz’ora al giorno. Se ci pensi, non è molto…

Problema n. 3

Non imparo più niente di nuovo.

Se fai un lavoro da molto tempo, ad un certo punto è normale che tu ti senta come se non imparassi niente di nuovo. Ti annoi e non se soddisfatta, anche se riesci a lavorare molto bene, sapendo esattamente quello che devi fare. Ma non ti basta per motivarti, allora cosa puoi fare? Devi uscire dalla tua zona di confort, devi accettare nuove sfide. Parlane al tuo capo, magari lui (o lei0 ha delle idee.

Problema n. 4

Non mi promuoveranno mai (io sono tra questi…)

Dunque, in tutta la mia carriera non sono mai stata promossa. E lavoro da più di vent’anni! Perché? In alcuni casi sicuramente perché non ho passato molto tempo nello stesso posto di lavoro. Sì, lo ammetto, non sono quella persona che si attacca al suo datore di lavoro. Anzi, quasi sempre mi viene voglia di andarmene presto. Ho bisogno di aria nuova.

Ma perché? Probabilmente perché non ho ancora trovato la mia strada e quindi me ne vado perché devo rimettermi in cammino per trovarla.

Anche tu se ti senti “costretto” nel tuo posto di lavoro, chiediti quale sarebbe il tuo lavoro ideale, il lavoro dei tuoi sogni. Se non lo trovi nel posto dove stai lavorando, comincia a guardarti intorno. E fai un piano d’azione (se non sai fare un piano d’azione, ti posso aiutare a farlo).

Problema n. 5

Non ho il tempo di fare niente.

Ecco, questo è il problema più diffuso del nostro tempo. Abbiamo la sensazione, che a volte sconfina nella realtà, di non riuscire a gestire il nostro tempo. Tra famiglia, lavoro e tempo perso nel traffico, non ne resta molto per noi. Ma non è una scusa? Fai un’analisi della tua giornata, vedi le cose inutili che fai e comincia ad eliminarle. Poi, ci sono senz’altro delle cose che puoi rimandare, ad esempio, non è necessario passare l’aspirapolvere tutte le sere anche se hai due gatti in casa come me (che passo l’aspirapolvere al massimo due volte la settimana).

È una questione di scelta e di priorità, non si può fare tutto: ci sono delle cose che devi fare assolutamente, altre che puoi evitare e rimandarle (saper rimandare le cose è una scienza, anche se non esatta…).

Io, ad esempio, ho scelto di scrivere perché non esco quasi mai la sera, e siccome raramente c’è un film interessante alla televisione (non ho Netflix), ho deciso di creare un blog. E quando c’è un film che mi interessa, deliberatamente scelgo di non scrivere.

Conclusione

La scelta è la base del cambiamento, l’azione è la base del pensiero positivo. Prendi la vita nelle tue mani. Agisci ora, non aspettare, scrivimi!

Procrastination

To procrastinate is a fashionable word nowadays. We procrastinate for invoices to be payed, for the dentist, for the rubbish to bring down…

Waiting too much can have serious consequences. Think at the climate change, for instance. Or at illnesses. If you don’t’ try to find out what you have as soon as you noticed the first symptoms, it may become too late. The doctor may say: “You would have come at the beginning, it would have been different. We would have been able to deal with it, the chances would have been better… ”

Cras in Latin means tomorrow, pro means for. Therefore, pro-cras means: it is for tomorrow.

Statistics show that in the United States about 20% of the population, post-pone the boring tasks to the next day, as if the tasks in question had then the virtue of disappearing or becoming less boring (in reality, isn’t it rather the opposite)?

A study carried out by Chinese researchers shows very interesting results: procrastinators have certain hyperactive intellectual regions, that are a part of a network of mental wandering: when it is time to take an appointment with the dentist, to pay the invoice or to bring down the rubbish, these centres make the person think at something else. And, let’s say it, to try to find out excuses on how unpleasant would be carrying out these tasks.

Besides, in procrastinators’ brain, another zone is weak. It is the zone that blocks the activity of wandering and that allows to remain focused.

People who work in advance according to a planning, in order not to be taken by surprise at the time of an examination, or of the fiscal term, they have a high activity of this area, so that the wandering zone is blocked.

When the mind gets loose from the planned purpose and begins to wander, the brain gets vulnerable in that area, which is very sensitive to all that is uncomfortable or disagreeable.

What to do?

The brain is a muscle, let’s train it and exploit its plasticity!

Indugiare

Indugiare, rimandare, procrastinare… quante persone conosci così? E tu come ti consideri? Sei una di quelle persone che rimandano il pagamento delle fatture, non prendono l’appuntamento dal dentista pur avendone bisogno, non portano giù la spazzatura? Oppure sei una persona che cerca di agire in anticipo, per non farsi cogliere di sorpresa e impreparata?

Aspettare a lungo può avere conseguenze. Pensa al cambiamento climatico. O a una malattia. Se non cerchi di scoprire subito quello hai, poi potrebbe diventare troppo tardi. Potresti sentire il dottore dirti: “Se fossi venuto prima, avremmo potuto intervenire e tentare di guarire la tua malattia. Ora è troppo tardi”.

Negli Stati Uniti, le statistiche dicono che il 20% circa della popolazione, rimanda i compiti i noiosi al giorno dopo, come se i compiti in questione avessero poi la capacità di scomparire o divenire meno noiosi (in realtà, è piuttosto il contrario, no?).

Uno studio cinese dimostra che le persone con tendenza a rimandare (chiamiamoli “procrastinatori“. Dal latino cras che significa domani e pro che significa per) hanno certe aree del cervello iperattive, che causano un vagabondaggio mentale: quando è tempo di pagare le fatture, prendere l’appuntamento dal dentista o portare giù la spazzatura, queste aree vanno in tilt e inducono la persona a pensare a qualcosa d’altro. E, diciamolo, a cercare delle scuse su quanto sarebbe sgradevole fare quella cosa.

Inoltre, i procrastinatori hanno un’altra zona del cervello debole. Si tratta della zona che blocca le attività di dispersione e che consente, invece, di rimanere concentrati.

Le persone che lavorano anticipando gli eventi e agiscono secondo un piano o un programma in modo da non essere colti di sorpresa da un esame, o da una scadenza fiscale, hanno un’attività elevata in quest’area del cervello, in modo tale che il divagare é bloccato e rimangono concentrati.

Quando la mente si distacca dallo scopo programmato e comincia a vagare, diventa vulnerabile e soggetta alle influenze della zona del cervello che comunica quanto sia sgradevole quella cosa. Il procrastinatore è quindi bloccato dal suo cervello e cerca immediatamente qualcosa che lo faccia stare meglio. Il compito sgradevole è perciò spostato nel futuro e percepito come innocuo.

Che fare? Il cervello è un muscolo e possiamo allenarlo per sfruttare la sua plasticità.

Che noia le riunioni di lavoro!

«Le persone a cui piacciono le riunioni non dovrebbero avere alcuna responsabilità»

Thomas Sowell (economista e teorico sociale)

Alza la mano se non sei d’accordo con questa affermazione. Le riunioni di lavoro sono noiose, spesso inutili e fanno perdere un sacco di tempo.

Già nel 2003 Gramellini scriveva un articolo sull’inutilità delle riunioni, secondo lui era meglio non andarci. Come dargli torto!

Una mia collega le odia, io dipende da chi le conduce. Ci sono persone molto brave a gestire le riunioni, altre decisamente dovrebbero cambiare lavoro.

Si tratta di imparare ad ascoltare, anziché ad ascoltarsi per soddisfare il proprio ego…mentre un collega sta parlando, c’è chi consulta le proprie email, nella migliore delle ipotesi, perché altrimenti gioca sul telefonino…

Colleghi che ripetono le stesse cose, settimana dopo settimana (sì, di solito le riunioni sono almeno una volta a settimana, se si ha la fortuna di non essere manager…), altri che chiedono di verificare lo stato di avanzamento del loro progetto, che ha naturalmente dei problemi per colpa di cause esterne (elementi ambientali non ben precisati…) o interne (il collega che fa il capro espiatorio di turno, perché è stato in ferie o addirittura ammalato…), altri ancora che chiamano a gran voce l’ennesima riorganizzazione. Per poi non parlare di coloro che devono parlare di un argomento e si presentano impreparati. Talvolta c’è anche chi non sa nemmeno perché è stato invitato.

E se usassimo Slack, ho proposto alla mia ultima riunione? Tutti mi hanno guardato come se fossi un extraterrestre, per cambiare faccia quando hanno capito le potenzialità dell’applicazione. E se comprassimo anche un programma per fare recruiting automatizzando alcune funzioni che sono ripetitive e quindi inducono ad errori frequenti? Fantascienza Branchini, lavori in un’amministrazione pubblica!

 

 

Amati per come sei

Dopo aver terminato la formazione per diventare coach, ho cominciato a recitare un mantra che suona così: Io mi amo e mi accetto così come sono.

Tutte le volte che discuto con mio marito, soprattutto quando mi critica per certi miei comportamenti, ecco che gli recito questo mantra: Io mi amo e mi accetto così come sono. Ora lo sa già e me lo anticipa lui e va bene così perché significa che lo ha capito.

Cosa significa amarsi e accettarsi cosi come siamo?

Innanzitutto, significa avere una relazione sana con noi stessi, cioè costruirsi la genuina convinzione di essere abbastanza, di non essere inferiori a nessuno e non continuare a cercare di essere “validati” dagli altri.

Perché accettarsi è così importante? Ricerche hanno dimostrato che la non accettazione di sé stessi o una scarsa accettazione di sé stessi non solo può essere la causa di depressione e ansia, ma anche di disturbi alimentari che potrebbero sconfinare addirittura nell’obesità.

Anche se accettarci cosi come siamo ci farebbe stare meglio, non è facile, perché cerchiamo sempre l’approvazione degli altri. Questo è soprattutto frutto del condizionamento sociale, che ci spinge a cercare sempre la convalida da parte del gruppo, della comunità di cui ci sentiamo parte. Oggi poi, con l’utilizzo massiccio dei social media, l’abitudine di paragonarci agli altri, di cercare di avere il più elevato numero possibile di Mi piace, di sentirci parte di un qualcosa che va al di là della nostra identità, ci impedisce di raggiungere un benessere basato su chi siamo veramente e su quello che cerchiamo nella vita, il nostro scopo, il motivo per cui siamo su questo pianeta.

Pensiamo che il giudizio, l’approvazione degli altri contribuisca al nostro benessere, mentre in realtà non è così: chi sono questi “altri” dei quali ci fidiamo così tanto da poter permettere loro di valutarci? Li conosciamo davvero bene? Perché ci fidiamo del loro giudizio?

Ricorda: accettati per quello che sei, con tutti i tuoi pregi e tutti i tuoi difetti.

 

Burn-out and perfectionism

Are you the kind of person who targets higher and higher and is never satisfied with the reached result? It is not a defect, don’t worry. Being perfectionist, however, is a weapon to double cut. If you are too much demanding with yourself, you are a candidate to the burn-out.

Perfectionism is like stress: in small doses it is fine, but when it is too much it is too much! It takes different forms and changes according to the people. Generally, the perfectionist is a victim of the working environment, or of the social or family pressure.

For instance, people who always want to try to be a model employee and always work more, in both quantitative and qualitative terms, they are perfectionist.

This behavior can be harmful because it can turn the initial motivation into professional fatigue. A person of this type works in an inflexible and rigid way. They don’t take distance from their job and they don’t accept to commit errors.

Other kind of perfectionists, get lost in details, they work a lot but not in an efficient way. Others still focus on smaller assignments, because they are afraid to face greater projects and not to succeed in managing them and to conduct them up to the end. The fear of failure that some types of perfectionist feel, can prevent them to accept new challenges.

Sometimes, they also behave like that at home, in a familiar environment. Their place must be always under impeccable conditions and when they come back from work they don’t let go and take a rest, but they start rearranging and cleaning.

In the long run, people like that become fragile and vulnerable. They can go into a burn-out, alimentary troubles or a depression. In the case of a burn-out, their energy progressively decreases because of a constant overload/overwork. If then other factors are added like a little gratifying job or missing recognition of their contribution at work, the risk of burn-out increases.

What can perfectionists do? They should try to focus more on the process, rather than on the result. The result actually depends also on external circumstances that the person cannot always control. Moreover, those people can look for things they like and that are energising, like hobbies, passions, going out with friends, spending more time with their family. The perfectionists have to learn to know better themselves, asking themselves what they like to do, what gives them energy.

They should also learn that human beings make mistakes  and that you learn by your own errors.

To invent the light bulb, 5000 attempts were necessary!

Burn-out e perfezionismo

Sei del genere che punta sempre più in alto, che non si accontenta mai del risultato raggiunto? Non è un difetto, anzi. Essere perfezionista, però, è un’arma a doppio taglio. Se sei troppo esigente con te stesso, potresti essere un candidato al burn-out.

Il perfezionismo è un po’ come lo stress: a piccole dosi fa bene, ma quando è troppo è troppo!

Il perfezionismo prende diverse forme e cambia a seconda delle persone. Generalmente il perfezionista è vittima dell’ambiente lavorativo, della pressione sociale o familiare. Ad esempio, le persone che vogliono sempre dimostrare di essere degli impiegati modello e che lavorano sempre di più, in termini quantitativi ma anche qualitativi, sono del genere perfezionista.

Questo comportamento può essere dannoso perché può trasformare la motivazione iniziale in esaurimento professionale. Una persona di questo tipo lavora in modo inflessibile e rigido verso sé stessa. Non riesce a staccarsi dal suo lavoro e non accetta di commettere errori.

Altri tipi di perfezionisti, si perdono nei dettagli, lavorano molto ma non in modo efficiente. Altri ancora si concentrano su dei compiti minori, perché hanno paura di affrontare grandi progetti e di non riuscire a gestirli e condurli fino alla fine. La paura del fallimento che provano, può impedirgli di andare avanti nel lavoro e di accettare nuovi incarichi.

A volte, si comportano così anche a casa, in ambito familiare. La casa deve essere sempre in condizioni impeccabili e quando rientrano dal lavoro non si concedono una pausa e si mettono subito a riordinare e pulire.

Nel lungo termine queste persone diventano fragili e vulnerabili. Possono andare incontro a un burn-out, disturbi alimentari o una depressione.

Nel caso di un burn-out, l’energia diminuisce progressivamente a causa di un sovraccarico costante. Se poi si aggiungono altri fattori come un lavoro poco gratificante o la mancata valorizzazione del proprio contributo, il rischio di burn-out aumenta.

Cosa può fare una persona in questa condizione? Innanzitutto, dovrebbe concentrarsi di più sul processo che sul risultato. Il risultato, infatti, dipende anche da circostanze esterne che non sempre si possono controllare. Inoltre, il perfezionista potrebbe cominciare a provare a concentrarsi sulle cose che gli piacciono e su quelle che gli procurano energia nuova, oltre che soddisfazione. Dovrebbe uscire con amici, passare più tempo in famiglia, dedicarsi ai propri hobby e alle proprie passioni.

Il perfezionista dovrebbe anche imparare che sbagliare è umano e che si impara dai propri errori.

Per inventare la lampadina, furono necessari 5000 tentativi!

Idee per sopravvivere in un ambiente di lavoro ostile

Ho pubblicato un breve libro che racconta delle mie esperienze negative in ambito lavorativo e di cosa ho fatto per riprendere in mano le redini della mia vita.

Il libro inizia con la parte più importante: i ringraziamenti. Se già ci rendessimo conto di quanto sia fondamentale ringraziare quotidianamente per le cose positive che ci accadono, come, per esempio, vedere un meraviglioso tramonto, stupirsi per il continuo rinnovarsi della natura, l’autista dell’autobus che ti aspetta perché ti vede correre, l’amica che ti telefona per andare al cinema, i pagamenti della fatture, l’acquisto di un paio di scarpe nuove, insomma tutte le piccole cose che rendono grande la vita, avremmo già fatto un passo avanti verso il raggiungimento della serenità.

Nell’introduzione racconto il mio sogno. I sogni ci sono stati rubati. La nostra società ci insegna che sognare é un illusione, che comunque bisogna guardare in faccia alla realtà delle cose, che non sempre é piacevole. Ti ricordi i sogni che avevi da bambino? La fantasia non aveva limiti. Crescendo, il sistema scolastico e sociale ci ha reso cartesiani, cioè razionali e rigorosi sul piano logico. Il che va bene, ma non avremmo dovuto dimenticarci che noi non siamo solo mente e cervello. Siamo anche anima e spirito, oltre che corpo ovviamente. Coltivare un sogno significa coltivare la parte più spirituale di noi stessi, la parte che ci connette alla nostra intimità e che proviene dal nostro inconscio. In altre parole, il sogno rappresenta il nostro desiderio più profondo. Prova a fare l’esercizio dei 101 desideri proposto da Igor Sibaldi e ti renderai conto di quanto sia atrofizzata la nostra capacità di sognare.

Nel mio lavoro (mi occupo della gestione delle risorse umane) ho occasione di leggere testi di psicologia perché mi servono a capire meglio le dinamiche delle persone. Per il mio libro mi sono ispirata a diversi autori:
Viktor Frankl, Man’s Search for Meaning
Rhonda Byrne, The Secret
Deepak Chopra, diversi testi
Albert Ellis, la sua Rational Emotive Therapy
Chris Johnstone, Find your Power

Il racconto delle mie esperienze é sotto forma di diario, anzi sono proprio le pagine del diario che ho tenuto durante cinque anni circa per documentare il mobbing che stavo subendo. Devi sapere che dimostrare il mobbing dal punto di vista legale é molto difficile. Devi raccogliere testimonianze da colleghi (e solo quelli che non hanno paura di ritorsioni da parte dell’autore del mobbing saranno disponibili), email, ogni cosa che mostra che l’atteggiamento intenzionale nocivo nei tuoi confronti é ripetitivo e non occasionale.

Nel primo caso di mobbing che ho subito ero impreparata e mi sono rivolta ad un avvocato, con grosse implicazioni finanziarie. Poi, ho lasciato perdere perché avevo paura di non trovare più lavoro. La paura é una grande nemica.

La seconda volta ho documentato il caso con oltre 100 pagine tra email e scritti vari e l’ho presentato al mio direttore. Io me ne sono andata, ho cambiato lavoro un’altra volta, ma il direttore ha aperto un’indagine verso l’autore del mobbing che successivamente é stata licenziato.

Per concludere il libro, ti propongo delle tecniche e degli esercizi di facile comprensione e immediato utilizzo che mi hanno aiutato a superare questi momenti difficile della mia vita.

Ecco qui i link a due articoli pubblicati sul mio libro:

Mobbing sul lavoro: come fare e come difendersi

Sopravvivere allo stress di lavoro e evitare il burn-out: consigli e risorse

Il libro é in vendita sulle principali piattaforme digitali alla cifra simbolica di 0,99 cent.

Fai la differenza in un colloquio di lavoro

La maggior parte dei reclutatori usa domande comportamentali durante i colloqui di lavoro per verificare se le competenze e le abilità del candidato corrispondono al profilo ricercato.

La logica dietro questo tipo di domande è che come ti sei comportato nel passato in determinate situazioni probabilmente ti comporterai così anche in futuro al ripresentarsi di situazioni analoghe.

Tieniti pronto perciò a raccontare storie che illustrano la tua performance passata. Ci sono alcuni acronimi comuni che puoi usare per trasmettere un episodio che ti é successo al lavoro e che ti aiutano a ricordare la trama della tua storia. Il trucco nell’usare gli acronimi è che le iniziali guidano il tuo racconto durante il colloquio. Gli acronimi sono mappe mentali per mantenerti concentrato e in linea con la tua storia, ti aiutano a non perdere il filo del racconto e a non andare fuori pista.

I più comuni sono:

CAB: Challenge – Action – Behaviour (Difficoltà – Azione – Comportamento)
PAR: Problem – Action – Result (Problema – Azione – Risultato)
STAR: Situation/Task – Action – Result (Situazione/compito – Azione – Risultato)
SPARE: Situation/Problem – Action – Result – Enthusiasm (Situazione/problema – Azione – Risultato – Entusiasmo)
SBO: Situation – Behavior – Outcome (Situazione – Comportamento – Risultato)

Questi acronimi ti ricordano di includere tutte le parti importanti della tua storia in ordine cronologico. Considerali come un modello quando esponi la tua storia. Tutte le storie hanno un inizio, una parte intermedia e una fine. Ovviamente, tutte le parti sono essenziali per una storia che abbia senso.

  • L’inizio – perché lo hai fatto: le ragioni, il problema, l’incarico o la situazione.
  • La parte intermedia – come lo hai fatto: le azioni che hai svolto nelle tua storia.
  • Il finaleche risultato hai ottenuto: la fine della storia, dove potrai evidenziare gli aspetti positivi ma anche quelli negativi, e dire che cosa rifaresti e che cosa non rifaresti.

Tutte le volte che ti chiedono di parlare di un’esperienza di lavoro passata, come “Ci dica di quando ha dovuto affrontare…” oppure “Ci può fare un esempio…” pensa ad un acronimo come spunto per raccontare la tua storia.

La storia

Se durante un colloquio ti chiedono di raccontare di una volta in cui hai dovuto affrontare un cliente arrabbiato e vuoi dare una risposta brillante, devi citare un esempio specifico di una situazione nella quale te le sei cavata bene.

Usa un acronimo per ricordarti i dettagli della tua esperienza e comincia a raccontare i dettagli dall’inizio alla fine. Usiamo per esempio l’acronimo PAR:

Problem/Situation: “Un cliente mi ha chiamato arrabbiato per il suo conto e le spese aggiuntive. Urlava e mi insultava.”

Action: “L’ho lasciato parlare per farlo sfogare e quando ha cominciato a calmarsi, gli ho detto di aver capito il suo problema. Gli ho chiesto altre informazioni per essere sicuro di avere tutti i dettagli chiari.  Gli ho detto quindi che lo avrei richiamato dopo tre ore. Quindi, ho cercato nel suo profilo cliente e ho verificato le ragioni per le spese aggiuntive. Ho trovato alcuni errori e li ho presentati al mio capo con la raccomandazione di rettificare il problema. Il mio capo si è trovato d’accordo con le mie verifiche e quindi ho richiamato il cliente per fargli sapere che il problema era stato risolto.”

Result: “Il cliente ha dimostrato apprezzamento per il modo efficiente in cui avevo trattato il suo problema. Si è scusato per aver urlato e per avermi buttato addosso la sua frustrazione. Si è perfino offerto di inviare una mail al mio capo per il mio eccellente orientamento al cliente e per come avevo risolto il problema.”

Guarda come tutte le parti chiave del racconto sono descritte. Il punto di svolta del racconto è dimostrare come hai risolto con successo un problema e come hai gestito un cliente arrabbiato.

Usare gli acronimi per prepare le tue storie di successo farà una grande differenza nella tua performance durante il colloquio. Un acronimo ti aiuta a ricordare i dettagli della storia senza dover memorizzare un copione e quindi risultare innaturale nell’esposizione.

Usa un acronimo e farai un ottimo colloquio!

Imparare ad essere infelici

Lo so, normalmente si direbbe “imparare ad essere felici”. Tuttavia, dopo aver letto tanto sulla felicità, ho scoperto che si deve anche imparare a gestire l’infelicità.

E’ veramente necessario avere sempre successo per essere felici? Cosa significa davvero essere felici?

Alcuni ricercatori affermano che il significato della felicità risiede nel definire la propria qualità di vita e nel cercare continui modi per migliorarla. Altri ricercatori affermano che tutti noi abbiamo uno scopo sociale per il quale vivere, che è la nostra missione sulla terra. Se tieni un diario, per esempio, sei in grado di valutare le attività che ti rendono felice e paragonarle con quelle che invece ti rendono triste. In questo modo puoi scegliere. Puoi anche paragonare le tue attività con quelle degli altri per vedere quello che rende felice gli altri e trarne ispirazione. Questo non significa che devi paragonarti agli altri: tu sei unico e molto spesso non conosci nemmeno tanto bene quelle persone.

Inoltre, non c’è un’unica ricetta per essere felici. Non tutti sono felici se praticano la meditazione o lo sport, per esempio. Ci sono tuttavia fattori che influenzano la nostra felicità: ottime relazioni interpersonali, un lavoro importante, un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, un partner fantastico e buona salute. Si possono incontrare comunque persone che non sono felici nonostante abbiano un buon lavoro e vadano d’accordo con il proprio partner.

D’altro lato, ci sono anche ricercatori che dicono che non è importante mirare alla felicità in quanto tale, ma si dovrebbe imparare ad essere infelici, accettando che nella vita ci possano essere momenti di infelicità.

Alcuni scienziati vedono con occhio critico la tendenza attuale ad essere sempre positivi. Evitare situazioni di stress, dolore, tristezza non è una soluzione. Non si può ignorare di essere infelici, bisogna accettare questo stato per quello che è. Puoi anche condividere le tue sensazioni e le tue emozioni con gli altri, ti aiuterà a creare e rafforzare le tue relazioni. Quando sei preoccupato e sai che qualcuno può ascoltarti, potresti sentirti meglio dopo aver condiviso il tuo stress e disagio.

Uno degli obiettivi della vita, non è vivere insieme? In effetti, le persone che fingono di essere sempre felici finiscono per essere sole, isolate e ovviamente infelici. Questo suona come un paradosso ma se provi ad accettare la tua infelicità come un momento della vita che scomparirà prima o poi, sarai più contento.

La cosa più importante è essere felici della propria vita, riconoscendo e accettando gli alti e bassi che ne fanno parte: c’est la vie.