La tensione é quando pensi di dover essere.
Il rilassamento é quando sei veramente.
Proverbio cinese

Bringing Positive Changes in Your Life
La tensione é quando pensi di dover essere.
Il rilassamento é quando sei veramente.
Proverbio cinese

1970: la NASA, agenzia spaziale americano, termina lo “Skylab“: una stazione spaziale concepita per accogliere 3 persone per un periodo di tre mesi. Ma, mentre la tecnologia é avanzata, la decorazione interna lascia un po’ a desiderare: l’abitacolo é freddo, triste, austero…gli astronauti meritano di meglio!
La NASA quindi si rivolge a un professionista del design, Raymond Loewy, che lavora nel campo dell’estetica applicata agli oggetti industriali. Per esempio, ha concepito e disegnato diversi logo di marche famose, delle linee di auto e di locomotive e persino l’Air Force One, l’aereo del Presidente degli Stati Uniti.
Arrivando alla NASA, Raymond rimane a bocca aperta. La decorazione dello Skylab? Troppo blu che diffonde un colore pallido. L’illuminazione? Arriva dall’alto e crea delle ombre angoscianti. Propone quindi di installare degli oblò per guardare fuori.

Raymond segue il principio M.A.Y.A. (Most Advanced Yet Acceptable), che in pratica significa: osare ma non troppo. Se un’invenzione o un design é troppo rivoluzionario, il consumatore si spaventa.
Questa idea tiene conto di un “pregiudizio – biais – cognitivo“, cioè una deformazione del nostro modo di pensare, molto comune: il pregiudizio di familiarità. Si tende a preferire quello che si conosce, perché ci rassicura, piuttosto che quello che non si conosce. Per questo, per esempio, i produttori utilizzano la pubblicità: per rendere familiare i loro prodotti ai consumatori.
Secondo Raymond, un’innovazione importante deve contenere un elemento rassicurante per essere accettata.
Con gli oblò, i coraggiosi occupanti dello Skylab, hanno potuto ammirare una vista familiare: la nostra cara vecchia Terra!

Markus Persson, un uomo d’affari svedese di 36 anni, passa il suo tempo su Twitter, dove parla della sua vita e quella della sua ditta. Un giorno twitta qualcosa che cambierá per sempre la sua vita.
Markus ha creato nel 2009 il video game chiamato Minecraft, una specie di Lego virtuale che é diventato un fenomeno sociale. Peró, improvvisamente, si stanca di gestire la sua ditta, Mojang.
Cosí una sera di giugno del 2014 annuncia su Twitter che mette in vendita Mojang. In zero attimi, un gigante dell’IT la compra per 2,5 miliardi di dollari (circa 2,2 miliardi di euro).

In vacanza permanente o disteso sul divano nella sua villa di lusso, continua a raccontare la sua vita su Twitter: si lamenta di non vedere più i suoi amici, che le feste a Ibiza sono diventate noiose…insomma, per farla breve, si deprime.
Markus potrebbe essere la vittima di quello che é chiamato il paradosso di Easterlin, dal nome dell’economista che lo ha dimostrato. Richard Easterlin ha osservato per lungo tempo che, mentre il reddito pro capite degli Stati Uniti cresceva, l’indice di felicità delle persone non aumentava nella stessa maniera.
Successivamente, altri ricercatori hanno scoperto che piú soldi si hanno piú si é felici, ma c’é un limite: oltre ai 75.000 dollari (circa 68.000 euro) non si sarebbe piú felici, nel senso che la felicitá non aumenterebbe oltre questo limite.
Markus ha guadagnato molto di piú di 75.000 dollari ma non ha piú amici, non ha progetti per il futuro ed é anche depresso. In Twitter si mette a litigare con i suoi followers e fa commenti che vengono ritenuti razzisti e misogini.
Il risultato é che nel 2019, la grande ditta IT che aveva comprato Mojang non lo invita nemmeno alla celebrazione del decimo anniversario di Minecraft e cancella perfino il suo nome dai credits del gioco.
Markus ha guadagnato molto ma ha anche perso molto.
Cosa ne pensi del paradosso di Easterlin? Saresti piú felice con piú soldi? Ti basterebbero 68.000 euro all’anno per essere felice? Per quanto mi riguarda sarei decisamente felice con 68.000 euro!

Estate 1959, Mosca. Durante una riunione ufficiale, il capo dell’Unione sovietica, Nikita Chruščëv, beve una Pepsi Cola. Yes, vittoria! Si rallegra discretamente un membro della riunione.
L’uomo contento è un rappresentante della famosa marca americana di bibite, Donald Kendall. Quella sera, Kendall aveva un obiettivo: convincere i russi a vendere la loro bibita in quel paese immenso.
Però Kendall ha gridato vittoria troppo presto. Se a Chruščëv piace la Pepsi, siamo ancora ai tempi della “guerra fredda”. Non se ne parla proprio di consumare un prodotto proveniente dall’America capitalista!
Ma qualche anno dopo, quando le relazioni tra i due paesi migliorano, Pepsi tenta di nuovo il colpo. E questa volta i russi ci vedono anche un loro interesse perché potranno vendere vodka agli americani.
L’affare si potrà fare solo senza utilizzare la moneta: la Russia rifiuta i dollari dei capitalisti americani e non può far uscire i rubli dal paese.
Quindi si ritorna alla forma più antica di scambio: il baratto. I russi autorizzano gli americani a vendere la loro bibita sul loro suolo, in cambio della vendita di vodka sul suolo americano.
Questo scambio Pepsi contro vodka continua per degli anni, ma nel 1979 gli USA non vogliono più scambiare Pepsi per vodka.
Quindi Pepsi trova un’alternativa. Anziché regolare gli scambi in vodka, i russi potranno pagare con le loro vecchie navi di guerra. Pepsi rivende così la vecchia ferraglia per ottenere un buon profitto.

Cosa ne pensi? Hai mai scambiato degli oggetti personali con dei tuoi amici? Ti piacerebbe farlo, come quando eri bambino/a e scambiavi le figurine?
Sai che esistono delle reti di scambio locale, non solo per prodotti ma anche per servizi? In Italia, ad esempio, abbiamo la Banca del tempo.
Oggi si sente anche parlare di “sharing economy“, cioé quel tipo di modello in cui gli individui affittano o “condividono” cose come la propria auto, casa e/o tempo con altri. Per anni abbiamo scambiato casa per le nostre vacanze estive tramite la piattaforma Home Based Holidays, ed ha sempre funzionato benissimo. Niente paura se lasci la tua casa in mani di sconosciuti, per loro é la stessa cosa!
In tempi di crisi non sarebbe male cominciare ad usare nuovi modelli economici, scambiarci le cose che abbiamo, affittarle o venderle per pochi soldi. Qualche anno fa, ad un mercatino dell’usato comprai per 2 euro un maglioncino di una famosa marca francese. Di fronte alla mia faccia stupita, la signora mi disse: “Quello che non piace più a me, piace a te.” E’ proprio questo il principio: anziché continuare a comprare cose delle quali ci stanchiamo presto, un po’ come i bambini con i giocattoli, potremo iniziare a scambiarcele. Faremo così un passo verso un’economia più sostenibile, riducendo la nostra impronta ecologica perché si produrrebbero meno beni e logicamente si userebbero meno risorse, che sappiamo essere limitate. Di conseguenza, si ridurrebbe l’inquinamento, anche perché potremmo riciclare di piú. Se poi abbiamo bisogno di una cosa solo una volta, perche comprarla quando la possiamo chiedere in prestito? Tutto questo é anche nell’ottica della teoria della decrescita. Non dimentichiamo poi che questo modello rafforzerebbe anche la nostra appartenenza alle comunitá locale.
A proposito, quel maglioncino lo uso ancora oggi!

Un po’ di tempo fa, in un negozio di vestiti, vedo un bel paio di jeans, che non sono neanche cari.
Però, dettaglio curioso, nessuna etichetta che ne indichi la provenienza, nessun “made in”. Decido di iniziare una piccola indagine, chiedendo per prima cosa al commerciante, che non ne ha la minima idea. Mi fingo allora membro di un’associazione di consumatori, gli elenco tutta una serie di normative che sta violando e quindi mi da l’indirizzo del magazzino dove li ha comprati.
Telefono a questo magazzino, sempre fingendomi un’esponente di un’associazione di consumatori. Non fanno una piega, ne hanno già parlato in precedenza con dei giornalisti e quindi mi raccontano la storia dei jeans. Innanzitutto, sono fatti con cotone proveniente dal Benin. I fili di cotone sono quindi tinti in Spagna, prima di essere spediti a Taiwan per essere tessuti in diversi pezzi separati (tasche, gambe, ecc.).

Questi pezzi sono successivamente inviati in Tunisia, per essere cuciti con dei fili in poliestere giapponese. La fabbrica aggiunge anche i bottoni, le chiusure lampo, i rivetti che sono fabbricati in Giappone con dei metalli australiani.
Quindi i jeans lasciano la Tunisia verso un deposito in Francia da dove verranno smerciati in tutta Europa. Insomma i jeans hanno percorso circa 65.000 chilometri: una volta e mezzo il giro della terra.
La produzione di questi jeans è decisamente “globalizzata”: per vendere i jeans al minor prezzo possibile, si cerca il costo più basso di produzione a tutti i livelli. Il produttore moltiplica le tappe per ottimizzare il suo costo globale di fabbricazione. La tintura è meno costosa qui, i bottoni sono meno cari là, ecc.
Questo pone diversi problemi: la cultura del cotone richiede molta acqua per dei paesi che non ne hanno molta, le condizioni di lavoro degli operai sono indegne, i trasporti consumano molto petrolio e rilasciano gas serra.
I jeans costano molto cari al pianeta, anche se sono venduti a un prezzo finale interessante per il consumatore.
Ci sono tanti altri esempi come questo. I gamberetti danesi vengono puliti in Marocco e poi rinviati in Danimarca per essere poi commercializzati. Peggio ancora i gamberoni scozzesi partono verso la Tailandia per essere decorticati alla mano in una grande multinazionale e ritornare in Scozia dove vengono cotti per poi essere rivenduti.
Ma ne vale pena? Non sarebbe meglio riportare la produzione vicino ai luoghi di vendita, riducendo il consumo di energia e di idrocarburi, facendo finalmente del bene al nostro pianeta?
Cosa ne pensi? Scrivimi!

In questi tempi difficili, condivido un brano tratto da “Furore” di John Steinbeck, che per me rappresenta un esempio di forza e di coraggio, oltre che di prospettiva. Steinbeck é noto per il realismo dei suoi romanzi e per le caratteristiche di humor che si aggiungono alle sue descrizioni. Racconta di un America perduta senza però perdere la speranza nell’umanità e in una rinascita.
“Mi sa che la nostra vita è bell’e finita.” “Macché finita,” disse Ma’ con un sorriso. “Non è finita per niente, Pa’. E c’è un’altra cosa che sanno le donne. Me ne sono accorta. Per l’uomo la vita è fatta a salti: se nasce tuo figlio e muore tuo padre, per l’uomo è un salto; se ti compri la terra e ti perdi la terra, per l’uomo è un salto. Per la donna invece è tutto come un fiume, che ogni tanto c’è un mulinello, ogni tanto c’è una secca, ma l’acqua continua a scorrere, va sempre dritta per la sua strada. Per la donna è così che è fatta la vita. La gente non muore mai fino in fondo. La gente continua come il fiume: magari cambia un po’, ma non finisce mai.” “Come fai a saperlo?” domandò Zio John. “Chi te lo dice che un giorno non si ferma tutto, che la gente non ce la fa più e si butta a terra per sempre?” Ma’ rimase qualche istante a pensare. Si sfregò il dorso lucido delle mani, poi infilò le dita della destra tra le dita della sinistra. “Non lo so,” disse. “A me mi pare solo che tutto quello che facciamo serve per continuare. Per me è così che vanno le cose. Pure la fame… pure la malattia: qualcuno muore, ma gli altri si fanno più tosti. Uno deve solo cercare di viversi la giornata, la giornata e basta.
Ti auguro una giornata luminosa.
Ti sei mai chiesta/o quando sia il momento migliore per fare attività fisica? Se sia meglio mangiare prima o dopo?
Studi recenti affermano l’importanza di praticare un’attività fisica moderata a digiuno.
Praticare al mattino un’attività fisica a digiuno favorirebbe una migliore risposta all’insulina, un migliore utilizzo del glucosio da parte dei muscoli, una migliore regolazione della glicemia e un smaltimento dei grassi due volte più efficace.
Cominciare idealmente la tua giornata con 30 minuti di esercizi dolci abbinati ad esercizi di resistenza sarebbe davvero benefico. Considerando che non é essenziale mangiare poco dopo che ci si é svegliati, il prolungamento del digiuno notturno consentirebbe anche di disintossicare il nostro intestino.
Quando possiamo mangiare allora? L’ideale sarebbe mangiare dopo una mezzora, o meglio ancora un’ora da questa breve attività fisica. La colazione dovrebbe essere ricca in proteine animali e vegetali per favorire il recupero e l’anabolismo muscolare, e contenere anche glucidi complessi per ottenere l’energia necessaria per affrontare la giornata. Un esempio: yoghurt magro con muesli a base di noci e semi.
Che ne pensi? Saresti in grado di cominciare così la tua giornata? Sinceramente la mia routine mattutina é diversa: mi sveglio, faccio meditazione 10 minuti, preparo la colazione, mi lavo, mi trucco, mi vesto e finalmente posso uscire. Totale: un’ora e 15 minuti. Se dovessi aggiungere un’altra mezz’ora a che ora dovrei alzarmi? Troppo presto! Però mi stavo chiedendo se cominciare questa pratica mattutina durante questo periodo di confinamento, considerando che gestisco io il mio tempo grazie al telelavoro e non sono stressata dal dover prendere un mezzo di trasporto pubblico per recarmi in ufficio.
Uno studio dell’Università del Massachusetts afferma che “lavorare meno fa bene all’ambiente”. Se passassimo il 10% in meno del nostro tempo al lavoro, la nostra impronta sulla terra sarebbe ridotta del 14,6%, soprattutto grazie alla diminuzione degli spostamenti e delle spese giornaliere.
Ci sono due correnti di pensiero contraddittorie su questa idea:
Vorrei concentrarmi sulla decrescita perché sostengo questo approccio. Mi sembra evidente che continuando così l’umanità vada incontro a un esaurimento veloce delle risorse disponibili che causerà un declino improvviso e incontrollabile della popolazione e della capacità produttiva delle industrie. La teoria della decrescita è sicuramente radicale e ad alcuni pare eretica. Tuttavia, un rapporto dell’OCSE afferma che il consumo è aumentato del 50% negli ultimi 30 anni e che questo va di pari passo con un aumento dell’impronta ambientale. La teoria della decrescita sostiene che si dovrebbe cominciare una progressiva diminuzione del consumo, cominciando proprio dalla riduzione del tempo di lavoro.
Serge Latouche, economista tra i padri fondatori della teoria della decrescita, spiega che: “Decrescita non significa indebolimento o sofferenza. Significa piuttosto trasformare il concetto di consumo in quello di uso: compro una cosa perché mi serve, se si rompe la faccio riparare (o la riparo da me) e alla fine della sua vita la riciclo. Significa anche spostare l’attenzione dalla quantità alla qualità. Il risultato sarà una società materialmente responsabile.“
La decrescita è anche elogio della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma, come dicevo prima, l’uso.
Perché quindi lavorare meno e guadagnare meno? Se il consumo di attività di divertimento o di piacere aumentasse grazie ad una settimana di lavoro più corta, si avrebbe un aumento significativo dell’impronta ecologica. Ecco quindi perché la riduzione del tempo di lavoro deve essere accompagnata dalla riduzione dello stipendio. Avremo comunque più tempo per noi, da dedicare alla nostra crescita personale, che non significa solamente attività di divertimento o di piacere.
La scelta cruciale dei nostri tempi dunque è tra impegnarsi urgentemente ad intraprendere il cammino della sobrietà a tutti i livelli o andare a tutta velocità verso l’esaurimento delle risorse e il crollo globale del nostro sistema, cosa che nessuno auspica.
In questo tempi difficili, con il diffondersi rapido di un virus che minaccia la nostra vita e ci fa paura, potremmo seriamente cominciare a riflettere su un futuro diverso per l’umanità.
Cosa ne pensi? Saresti disposto a lavorare meno, guadagnando meno e consumando meno (ma usando di più), iniziando così un percorso verso una società diversa da come la conosciamo oggi?
Relazionarsi con gli altri a volte é difficile. Possono crearsi delle tensioni che però possono poi trasformarsi in occasioni per conoscersi meglio. La relazione può così migliorare e diventare fonte di gioia e ispirazione.
Empatia non é dimostrare pietà, ma é la possibilità che una persona si da di vivere dall’interno quello che l’altro prova in un dato momento.
Una cosa importante da sapere é che l’empatia non é un talento con il quale si nasce, ma può essere imparata. Essere empatici significa innanzitutto sentirsi implicati in un qualche modo verso l’altro da noi. Sicuramente é più facile provare empatia per le persone che ci sono simili piuttosto che con le persone che sentiamo antagoniste.
Se vogliamo essere empatici con i nostri colleghi di lavoro, potremmo provare a parlare con loro più spesso, chiedere loro quello che vivono e le emozioni che provano piuttosto che immaginarselo, cosa che potrebbe rivelarsi assolutamente fuorviante.
Una buona empatia potrebbe permetterci di sentire le emozioni che provano i nostri interlocutori e potremmo in questo modo anticipare le loro reazioni. Quando le persone si sentono comprese, si apre la via della fiducia e della buona intesa. Una vera empatia permette di rinnovare un legame che poteva sembrare rotto.
Attenzione però: l’empatia non deve essere rivolta solo verso gli altri ma deve esserci empatia anche verso noi stessi. Per poter identificare le emozioni degli altri, dobbiamo saper identificare in primo luogo le nostre emozioni e non solo quelle positive ma anche quelle negative come la rabbia, l’amarezza, la vergogna. Più ci sono chiare le nostre emozioni, più potremo accettare e comprendere le emozioni degli altri. Comprendere perché proviamo determinate emozioni ci consentirà di metterci nei panni degli altri e capire le ragioni per le quali una persona é stata spinta a provare un’emozione piuttosto che un’altra. Si può capire la diversità dei punti di vista solo nella misura in cui accettiamo la molteplicità dei punti di vista!
Le buone abitudini e il morale alto hanno un legame stretto con la buona salute e il benessere.
Ecco qui 9 consigli che ti aiuteranno a trovare un po’ di tranquillità, a migliorare il tuo equilibrio e ad avvicinarti all’idea di felicità che più ti corrisponde.