Come superare le difficoltá con il ganbatte

I giapponesi hanno una capacità incredibile di recuperare di fronte alle catastrofi di qualsiasi tipo. Dopo la II guerra mondiale, che lasciò il paese in rovina, in appena trent’anni il Giappone si trasformò nella seconda economia del mondo, diventando leader nel settore dell’elettronica negli anni ottanta e novanta. Come si realizzó il miracolo economico giapponese? La risposta ha a che fare con una espressione che dovremmo usare anche noi: “ganbatte” che significa “sforzati al massimo”.

Qui risiede una delle differenze tra la fragilitá della cultura occidentale e la resilienza della cultura nipponica: il modo in cui affronta una crisi.

In Italia, quando devi affrontare un esame, ti dicono “in bocca al lupo”, come se dipendesse dal povero lupo la riuscita del tuo esame. Praticamente, collochi fuori da te la possibilità di riuscita del tuo esame.

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In Giappone, invece, si dice “Ganbatte kudasai”, che è il migliore modo di dire all’altro di fare del suo meglio. In questo caso non c’è un fattore esterno da cui dipende l’esito del tuo esame. Secondo i giapponesi, se ti sforzi al massimo, otterrai un risultato, che, anche se non il migliore in assoluto, sarà il migliore per te, perché rappresenta il tuo sforzo massimo.

Un altro modo di dire giapponese, molto utile a noi tutti, è: “se vuoi scaldare una roccia, siediti sopra cento anni”, che significa che per superare grandi difficoltà bisogna avere pazienza. Tuttavia, questo non vuol dire sedersi ed aspettare che le circostanze cambino, significa invece lavorare per creare nuove situazioni.

Il “ganbatte” é presente nelle attività individuali e collettive dei giapponesi e puó essere collegato all’Ikigai, che é una forma di adattamento all’ambiente circostante.

Nel 1995, quando ci fu il disastroso terremoto che causó degli enormi danni a Kobe, lo slogan che circolava in Giappone fu: Ganbaro Kobe. Il significato del messaggio era: forza e coraggio da parte di tutti, uniti e facendo del nostro meglio usciremo da questa situazione.

Successivamente, nel 2011, in occasione di un altro grande terremoto che provocò la catastrofe nucleare a Fukushima, lo slogan che incoraggiava tutti i giapponesi era: Ganbaru Nippon! Con questo si incitava il popolo giapponese a unirsi nello sforzo collettivo per aiutare tutti coloro coinvolti nella catastrofe. Era necessario uno sforzo collettivo e questo spirito si manifestò in maniera eroica quando dei lavoratori in pensione della centrale nucleare si offrirono come volontari per controllarla. Le ragioni presentate da questi pensionati furono che era meglio che le radiazioni colpissero delle persone che avevano già vissuto una buona parte della loro vita, piuttosto che delle persone giovani con un futuro davanti.

Una bella lezione per tutti noi in questi tempi difficili. Potremmo emulare lo spirito giapponese seguendo questi quattro suggerimenti pratici.

  1. Fare e non lamentarsi. Non lamentarti stando con le braccia incrociate: fai qualcosa. Valorizza le tue azioni, anche se ti sembrano di poca importanza, in realtà tutto quello che fai è importante. Come dice la filosofia Kaizen, un progresso modesto ma continuo, si conclude in una grande trasformazione.
  2. Sperare invece di disperare. Un’attitudine di speranza focalizzata nel giorno dopo giorno anziché nel “quando finirà questo”, aiuta a mantenere alto il morale.
  3. Non sprecare energia. Non avventurarti in discussioni senza fine, che ti non portano da nessuna parte. E’ necessario conservare tutte le tue forze (mentali e fisiche) per continuare ad andare avanti. Ricorda che per ogni minuto di discussione ad alto coinvolgimento emotivo, ti occorre un’ora per recuperare l’energia persa.
  4. Cercare la compagnia di persone entusiaste. Di solito si è amici per affinità. Questo non esclude, però, che possiamo circondarci di persone con spirito di ganbatte, che si sforzano di migliorare anziché di vedere sempre solo il lato negativo.

Pensi che il ganbatte possa aiutarti a superare le difficoltá?

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Il passeggero clandestino

Giugno 1929, da una spiaggia dell’est degli Stati Uniti un aereo giallo decolla verso la Francia. A bordo, tre aviatori tentano la prima traversata francese dell’Atlantico, senza scalo, da ovest a est.

Ma l’aereo riesce a malapena ad alzarsi in aria. Sembra più pesante di quello che si aspettavano. La causa: non ci sono tre persone a bordo, ma quattro!

Arthur Schreiber, un giovane americano, sbuca da una botola. Per alleggerire l’aereo, l’equipaggio è costretto a gettare in acqua le bottiglie di champagne che aveva comprato per festeggiare all’arrivo!

Arthur sognava di volare, ma non era riuscito a diventare pilota. Così fece il “passeggero clandestino”, invitandosi su un volo in cui la sua presenza non era prevista. 

In economia, un passeggero clandestino è un membro di un gruppo che beneficia di un servizio o di un bene collettivo senza contribuire come gli altri. Per farti un esempio familiare, potrebbe essere l’amico in vacanza che si ingozza, ma non aiuta mai a cucinare. Insomma, potremmo chiamarlo anche opportunista.

Secondo l’economista Mancur Olson, il clandestino non lo fa per cattiveria. Fa un calcolo razionale per approfittare dei frutti di un’azione collettiva fornendo il minimo sforzo possibile.

In economia ciò significa che per raggiungere un obiettivo comune non ci si può fidare solamente dei singoli individui. È necessaria un’autorità collettiva o centrale (Stato, polizia…) per garantire che nessuno commetta abusi.

Ad esempio, per quanto riguarda l’ambiente, può essere facile pensare che gli altri facciano tutti gli sforzi al nostro posto (selezione dei rifiuti, consumo responsabile,…) mentre noi stiamo a guardare, aspettando che le cose migliorino. A meno che non siamo obbligati dalla legge o dall’opinione degli altri.

E tu, hai mai fatto il “passeggero clandestino”?

La tazza? Me la tengo!

1990, Cornell University, Stati Uniti. Un professore distribuisce delle tazze carine ad alcuni dei suoi studenti. Per offrire del caffè? Non proprio…

Il professore si chiama Daniel Kahneman, uno psicologo che lavora sull’economia comportamentale, cioè studia come gli individui prendono decisioni in merito ai loro consumi, a quello che acquistano e vendono, ai loro investimenti.

Con le tazze vuole fare un esperimento. Metà degli studenti riceve una tazza, l’altra metà non riceve nulla. Quindi, il professore chiede ad ogni gruppo a che prezzo pensano si possa vendere la tazza: quelli che hanno la tazza rispondono 7 dollari, quelli che non ce l’hanno sono disposti a comprarla per 3 dollari.

Secondo la teoria economica, le tazze dovrebbero essere commercializzate intorno ai 5 dollari, in quanto sarebbe il prezzo che, dopo una negoziazione, raggiungerebbero le due parti: quello proposto dai possessori della tazza (venditori) e quello degli interessati a comprarla (compratori). Questo si chiama prezzo di equilibrio cioè il prezzo della tazza stabilito dal mercato.

A questo punto il professore propone agli studenti senza tazza di ricevere o la tazza o 5 dollari. Offre poi agli studenti con la tazza di comprargliela per 5 dollari. La scelta é la stessa per tutti: la tazza o i soldi.

Il risultato è che gli studenti senza la tazza accettano i soldi, mentre gli studenti con la tazza rifiutano di venderla.

Perché? La ragione è il cosiddetto effetto dotazione (endowment effect): attribuiamo più valore a qualcosa che abbiamo già e non siamo disposti a venderlo nemmeno in cambio del suo valore reale nel mercato.

A causa di questo pregiudizio psicologico (psychological bias), anche le persone che non vogliono necessariamente fare del profitto, non sono molto propense a dare via per esempio un vecchio mobile, l’auto o la casa perché ne sovrastimano il valore. Tuttavia, questo pregiudizio può essere utile nel commercio: quando un venditore ci offre qualcosa gratis o ce la fa provare per un po’ di tempo (che so, un materasso per esempio) é perché spera che poi la compriamo!

E tu, hai mai tenuto qualcosa che ti é stato offerto per un po’ di tempo?