5 idee per sentirsi bene al lavoro (senza pretendere la perfezione)

Ci sono alcuni problemi da risolvere per sentirsi bene al lavoro, senza voler essere perfetti, anche perché vorremmo evitare che perseguire la perfezione sul lavoro, ma anche nelle vita privata, diventi un’ossessione.

Problema n. 1

Non mi sento riconosciuta per il mio valore – Chi non si è mai sentito così al lavoro? A chi non fa piacere ricevere un apprezzamento, del tipo “Lavoro ben fatto”? Però, onestamente, non ê un po’ rischioso basare la nostra motivazione sull’apprezzamento ricevuto dagli altri? Prova a fare questo esercizio: tutti i giorni prendi nota di una cosa positiva che hai fatto al lavoro. Una relazione scritta bene, una riunione gestita in modo efficace, una pausa caffè produttiva…poi celebra questo successo. Esci a cena con dei colleghi, o degli amici, o il tuo partner, ma se nessuno ha tempo, esci anche da sola o preparati una cenetta con i fiocchi. Il successo non è necessariamente avere una villa in Costa Smeralda o una Ferrari. Il successo si misura nelle piccole cose quotidiane e va celebrato sempre. Comprati dei fiori e portali al lavoro. Se ti chiedono perché, rispondi perché sei brava e simpatica. Poi, osserva come reagiscono i colleghi.

Problema n. 2

La mia vita gira intorno al mio lavoro.

In francese si dice “Metro, boulot, dodo”, che significa “Metro, lavoro, nanna”. Non è entusiasmante, vero? Spesso, purtroppo, è così. Cosa fai per cambiare questo? Ti prendi mai del tempo da dedicare a te stessa? Non deve passare un giorno senza che tu abbia dedicato del tempo a te stessa. Leggere quell’articolo sulla tua rivista preferita o sul blog della tua amica (che potrebbe essere il mio…), andare in palestra o a fare una passeggiata nel giardino vicino a casa, chiamare tua madre o quell’amica che da tanto tempo non senti…dovresti dedicare a te stessa almeno mezz’ora al giorno. Se ci pensi, non è molto.

Problema n. 3

Non imparo più niente di nuovo.

Se fai un lavoro da molto tempo, ad un certo punto è normale che tu ti senta come se non imparassi niente di nuovo. Ti annoi e non sei soddisfatta, anche se riesci a lavorare molto bene, sapendo esattamente quello che devi fare. Ma non ti basta per motivarti, allora cosa puoi fare? Devi uscire dalla tua zona di confort, devi accettare nuove sfide. Parlane al tuo capo, magari lui (o lei) ha delle idee.

Problema n. 4

Non mi promuoveranno mai

Dunque, in tutta la mia carriera sono mai stata promossa una sola volta, l’anno scorso. E lavoro da più di vent’anni! Perché? In alcuni casi sicuramente perché non ho passato molto tempo nello stesso posto di lavoro. Sì, lo ammetto, non sono quella persona che si attacca al suo datore di lavoro. Anzi, quasi sempre mi viene voglia di andarmene presto. Ho bisogno di aria nuova.

Ma perché? Probabilmente perché non ho ancora trovato la mia strada e quindi me ne vado perché devo rimettermi in cammino per trovarla.

Anche tu se ti senti “costretto” nel tuo posto di lavoro, chiediti quale sarebbe il tuo lavoro ideale, il lavoro dei tuoi sogni. Se non lo trovi nel posto dove stai lavorando, comincia a guardarti intorno. E fai un piano d’azione (se non sai come fare un piano d’azione, ti posso aiutare a farlo). Oppure, chiedi di poter lavorare part-time, cosí potrai coltivare quella passione o quel hobby che da troppo tempo stai trascurando.

Problema n. 5

Non ho il tempo di fare niente.

Ecco, questo è il problema più diffuso al giorno d’oggi. Abbiamo la sensazione, che a volte sconfina nella realtà, di non riuscire a gestire il nostro tempo. Tra famiglia, lavoro e tempo perso nel traffico, non ne resta molto per noi. Ma non è una scusa? Fai un’analisi della tua giornata, vedi le cose inutili che fai e comincia ad eliminarle. Poi, ci sono senz’altro delle cose che puoi rimandare, ad esempio, non è necessario passare l’aspirapolvere tutte le sere anche se hai un gatto in casa come me (che passo l’aspirapolvere al massimo due volte la settimana).

È una questione di scelta e di priorità, non si può fare tutto: ci sono delle cose che devi fare assolutamente, altre che puoi evitare e rimandarle (saper rimandare le cose è una scienza, anche se non esatta…).

Io, ad esempio, pur lavorando a tempo pieno, mi dedico alla scrittura di questo blog perché esco poco la sera, ma quando si presenta l’occasione non esito ad uscire. Quindi, prendo al decisione di rimandare la scrittura del mio articolo.

Concludendo, la scelta è la base del cambiamento, l’azione è la base del pensiero positivo. Prendi la vita nelle tue mani. Agisci ora, non aspettare!

Come sviluppare 5 competenze per sentirti meglio e trovare la tua motivazione

“Come va il lavoro?” è una domanda che ci viene posta frequentemente dai nostri cari e quando rispondiamo probabilmente pensiamo alle difficoltà che attraversiamo o al disagio che sentiamo verso il nostro lavoro. Le persone che lavorano cercano una motivazione e un senso per il lavoro che svolgono.

L’ambiente di lavoro si è molto trasformato negli ultimi anni ed è diventato fonte di stress e ansia. Mancanza di obiettivi futuri, cambiamenti frequenti all’interno dell’organizzazione con conseguente cambiamento dei capi, concorrenza esterna e interna, digitalizzazione che trasforma i modi di lavoro e richiede l’acquisizione di nuove competenze, manager a volte incompetenti ma sotto pressione per gli obiettivi aziendali, stress e carico di lavoro eccessivo possono provocare dei comportamenti tossici.

Noi tutti abbiamo delle aspettative per quanto riguarda il nostro benessere e la nostra crescita personale. Facciamo attenzione alla salute, all’equilibrio tra vita privata e vita professionale, alla qualità dei rapporti con il manager e con i colleghi.

Sai come la penso riguardo alla felicità sul lavoro, ma puoi cercare di sviluppare queste 5 competenze per sentirti meglio e trovare la tua motivazione.

  1. Accettare l’imperfezione: la propria, quella degli altri e quella ambientale. Il perfezionismo è una fonte importante delle nostre sofferenze. Essere coerenti al 100%, rifiutare i propri fallimenti, porsi degli obiettivi troppo ambiziosi, tutto questo ci porta a una situazione di insoddisfazione permanente. Un passo verso la serenità sarebbe quello di accettare gli ostacoli della quotidianità, fare delle scelte e dei compromessi, chiedersi quale sarebbe il miglior percorso futuro piuttosto che pensare a quello che avrebbe potuto essere (post-occupazioni, ovvero inquietarsi per qualcosa che é già avvenuto e che quindi non possiamo cambiare né influenzare).
  2. Stimolare la propria iniziativa e la propria capacità di agire. Sul lavoro possiamo decidere di essere pro-attivi o reattivi. La persona reattiva si sente colpita da quello che le succede intorno e si lascia guidare dai segnali dell’ambiente siano essi negativi o positivi. La persona pro-attiva prende l’iniziativa e sceglie come rispondere agli eventi. Di fronte ad una difficoltà, la persona reattiva dirà “non posso farci niente” oppure “non posso farlo” mentre quella pro-attiva dirà “esaminiamo le opzioni” oppure “potremmo fare così”. Per la persona reattiva, “loro” hanno l’ultima parola, mentre la pro-attiva è colei che conclude. Sviluppare la propria pro-attività, significa essere propensi all’azione e mettere la propria creatività, la propria intelligenza ed energia al servizio di quello che posso fare qui e ora.
  3. Rafforzare l’amor proprio e la stima di sé. Noi siamo i primi responsabili di noi stessi e i primi garanti del nostro benessere. Questo può sembrare evidente, ma è fondamentale per stare bene con sé stessi, amarsi, ascoltare i propri bisogni (del corpo e dello spirito) e cercare di soddisfarli. E’ altrettanto importante rispettarsi, avere stima di se stessi nonostante i propri difetti, le proprie fragilità ed imperfezioni, apprezzare e riconoscere i propri valori e qualità, celebrare i successi e i traguardi. Inoltre, nelle situazioni difficili, è essenziale proteggersi, saper dire no, comunicare i propri limiti e quello che non ci convince, cercare al massimo di non mettersi in pericolo.
  4. Sviluppare empatia e imparare a comunicare efficacemente con gli altri. La maggior parte delle nostre difficoltà al lavoro sono legate agli altri. Siano essi un capo, un collega, un cliente o un fornitore, il rapporto con l’altro può essere fonte di frustrazione e a volte di vera e propria sofferenza. Affinché questa relazione diventi più sana, più efficace e più serena, bisogna sviluppare empatia e imparare a comunicare in modo più efficace. Innanzitutto, bisogna rispettare gli altri ed evitare di giudicarli. Non conosciamo la loro storia e gli altri potrebbero avere gli stessi nostri problemi, o perfino più gravi. Prova quindi ad entrare in contatto con l’altro che hai di fronte cercando di capire la sua esperienza, i suoi sentimenti, i suoi bisogni ma cercando allo stesso tempo di individuare i punti in comune con questa persona. Comunica con sincerità le tue emozioni, i tuoi bisogni e le tue esigenze mantenendo uno spirito aperto al suo riguardo.
  5. Coltivare un’attitudine all’apprendimento e esercitare la capacità ad imparare. Per affrontare con serenità gli imprevisti e le numerose difficoltà che la vita ci presenta, per crescere e evolvere, è indispensabile imparare continuamente. L’attitudine della persona che vuole imparare consiste nell’accettare che il percorso di apprendimento passi sempre da una fase di incompetenza e di confusione. Prima di impadronirsi di una materia o trovare una soluzione a un problema, è normale sentirsi persi nell’incertezza e nel dubbio. Dobbiamo quindi imparare a gestire questi momenti nel modo più tranquillo possibile. Ricordiamoci che impariamo dai nostri errori, che essi fanno parte del nostro apprendimento e che anzi forse ne sono la base principale. Un fallimento non è una sentenza o un giudizio, ma piuttosto un risultato, una risposta a un tentativo che abbiamo fatto. Da questo risultato imprevisto, possiamo imparare delle lezioni che serviranno da base per fare altri tentativi che ci condurranno poi alla soluzione del nostro problema. Ricordiamoci anche che possiamo imparare da tutti e che è importante ricevere dei feedback per migliorare. Non esitare a metterti in discussione, cercando di trovare l’informazione importante o utile dallo scambio con gli altri. La persona propensa all’apprendimento considera tutte le esperienze come un’opportunità di evoluzione.

Pensi di essere motivato al lavoro?

Perché il perfezionismo non fa bene alla salute

Il perfezionismo estremo è uno stile di vita compulsivo che ha un alto costo personale e può portare ad ansia o depressione. A volte nasconde una bassa autostima. Il perfezionismo non fa bene alla salute.

Essere perfetti significa non avere imperfezioni, difetti o debolezze, e potrebbe sembrare un vantaggio. Se pensiamo al lavoro, per esempio, si potrebbe dire che il perfezionismo porti piú facilmente al successo, grazie al voler raggiungere standard elevati di prestazione, attenzione ai dettagli, e dedizione .

Attenzione peró perché questo è un mito. Il perfezionismo non fa bene alla salute, perché essere perfezionisti non significa necessariamente fare bene le cose.

Il perfezionismo colpisce persone di ogni età e stile di vita, e, in particolare, è in aumento tra gli studenti. Uno studio che ha riguardato 41.641 università britanniche, canadesi e americane svolto tra il 1989 e il 2016, ha mostrato un aumento della percentuale di giovani che sentono di dover raggiungere la perfezione per raggiungere i loro obiettivi accademici e professionali.

Il perfezionismo estremo è un modo compulsivo di volere che le cose e il modo in cui le facciamo siano perfette ed esatte. Puntare alla perfezione può avere un alto costo personale, comporta molteplici effetti negativi, come disordini alimentari, ansia o depressione. Soprattutto tra i giovani, il legame tra perfezionismo e rischio di suicidio è un dato allarmante.

Secondo lo studio, un numero crescente di persone sta sperimentando quello che i ricercatori definiscono “perfezionismo multidimensionale”, che include il perfezionismo rivolto a se stessi, quello rivolto verso gli altri e quello socialmente prescritto.

Mentre il perfezionismo auto-orientato si concentra su standard personali estremi, il perfezionismo orientato all’altro implica esigere che gli altri rispettino aspettative eccessivamente elevate e irrealistiche, e che si sottopongano a nostre valutazioni rigorose e critiche.

Infine, il perfezionismo socialmente prescritto implica la percezione che altre persone, e anche la società in generale, stiano imponendo alte aspettative riguardo alle nostre prestazioni.

Ogni forma di perfezionismo ha una carica negativa, particolarmente intensa per chi soffre del perfezionismo socialmente prescritto.

Quando la persona che ambisce alla perfezione fallisce, soprattutto in presenza di altri, prova un senso profondo di colpa e di vergogna per ciò che percepisce come un fallimento.

Come cambiare questa ambizione al perfezionismo?

Ci sentiamo in colpa quando falliamo, quindi è importante imparare che fallire è accettabile. Perció:

  • Concediti il ​​permesso di stabilre aspettative più realistiche e flessibili.
  • Mantieni una prospettiva personale e concentrati su ciò che ti appassiona.
  • Se pensi, o se ti viene detto che la tua situazione é critica, non esitare a cercare un aiuto professionale.

Cerca di riconoscere che dal fallimento puoi imparare e andare avanti perché ricorda che la lampadina fu inventata dopo 2000 tentativi!

Pensi di essere perfezionista? In quale tipo di perfezionismo ti riconosci?

old incandescent electric lamps on wooden table
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Come e perché evitare che una preoccupazione si trasformi in ossessione.

Hai pensato – e ripensato – se hai chiuso il gas uscendo di casa? Oppure non ti ricordi se hai chiuso a chiave la porta? Non ti ricordi e perciò torni indietro? Non ti preoccupare, è meno grave di quello che sembra. Soprattutto, non sei l’unica persona a cui succede. Le preoccupazioni che ti assalgono sono normali, non è un’ossessione … Per il momento.

Le preoccupazioni non si trasformano in ossessione da un giorno all’altro. All’inizio sono impercettibili, poi crescono, ma non ti sembrano così gravi; poi riconosci di avere un’ossessione e cerchi di risolverla da solo finché non inizi ad avere problemi al lavoro, in famiglia, con gli amici. Quindi, riconoscere il grado di intensità è la chiave per evitare che un pensiero si trasformi in ossessione e possa diventare dannoso per te e la tua qualità di vita.

Se riesci a capire che hai un’ossessione (o piú ossessioni) che non pone grandi problemi nella vita quotidiana, puoi cercare di risolvere questo problema con tecniche di rilassamento.

Immagina una nonna che accende una candela in Chiesa affinché suo nipote faccia bene l’esame. O le canzoni che canticchi nel tuo cervello di cui non riesci a liberartene. O le culture che pregano perché piova. Queste piccole ossessioni non danneggiano nessuno e non rappresentano un problema nella vita di tutti i giorni. Perciò, non hai bisogno di fare niente.

Tuttavia, ci sono altri tipi di pensieri che intrappolano la mente in un circuito vizioso e che catturano spesso la tua attenzione. Si chiamano DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo).

Ci sono alcuni trucchi che puoi usare per tenerli sotto controllo.

Vediamone un paio.

Photo by Claudio Schwarz on Unsplash

Se, per esempio, ti lavi le mani troppo spesso, prova a contare effettivamente quante volte te le sei lavate. Pensa quindi all’assurdità di farlo così spesso perché lavarsi bene le mani una volta dovrebbe essere sufficiente, e farlo due volte dovrebbe darti tutte le garanzie di pulizia.

Se la tua paura è quella di infettarti sull’autobus, perché tocchi manopole, sbarre, porte, usa dei guanti ogni volta che ci vai o prendi con te un gel idroalcolico da usare appena scendi (molto utile anche per il Covid).

L’importante è riuscire a razionalizzare i tuoi pensieri ricorrenti e trovare delle soluzioni per controllare. Se proprio non ci riesci, dovresti però consultare un professionista (medico, psicologo, coach) che possa aiutarti a non trasformare le tue preoccupazioni in ossessioni.

Sappi anche che la genetica puó essere una causa della tua ossessione. Se sei molto emotivo/a e hai difficoltà a controllare i tuoi impulsi, sei in un certo senso predisposto/a. Anche l’esposizione a modelli ossessivi in ​​famiglia, che trasmettono i valori dell’ordine, delle norme, del non sbagliare, possono essere una causa. Personalità altamente esigenti, perfezioniste, rigide, eccessivamente ordinate, inflessibili e riluttanti a delegare compiti sono anch’esse più inclini a sviluppare un DOC.

I pensieri ricorrenti sono normali fino a quando non diventano delle fissazioni. Ricorda comunque che quasi tutte le cose che ti preoccupano non accadono mai. Prova a farci caso e fammi sapere.

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Burn-out e perfezionismo

Sei del genere che punta sempre più in alto, che non si accontenta mai del risultato raggiunto? Non è un difetto, anzi. Essere perfezionista, però, è un’arma a doppio taglio. Se sei troppo esigente con te stesso, potresti essere un candidato al burn-out.

Il perfezionismo è un po’ come lo stress: a piccole dosi fa bene, ma quando è troppo è troppo!

Il perfezionismo prende diverse forme e cambia a seconda delle persone. Generalmente il perfezionista è vittima dell’ambiente lavorativo, della pressione sociale o familiare. Ad esempio, le persone che vogliono sempre dimostrare di essere degli impiegati modello e che lavorano sempre di più, in termini quantitativi ma anche qualitativi, sono del genere perfezionista.

Questo comportamento può essere dannoso perché può trasformare la motivazione iniziale in esaurimento professionale. Una persona di questo tipo lavora in modo inflessibile e rigido verso sé stessa. Non riesce a staccarsi dal suo lavoro e non accetta di commettere errori.

Altri tipi di perfezionisti, si perdono nei dettagli, lavorano molto ma non in modo efficiente. Altri ancora si concentrano su dei compiti minori, perché hanno paura di affrontare grandi progetti e di non riuscire a gestirli e condurli fino alla fine. La paura del fallimento che provano, può impedirgli di andare avanti nel lavoro e di accettare nuovi incarichi.

A volte, si comportano così anche a casa, in ambito familiare. La casa deve essere sempre in condizioni impeccabili e quando rientrano dal lavoro non si concedono una pausa e si mettono subito a riordinare e pulire.

Nel lungo termine queste persone diventano fragili e vulnerabili. Possono andare incontro a un burn-out, disturbi alimentari o una depressione.

Nel caso di un burn-out, l’energia diminuisce progressivamente a causa di un sovraccarico costante. Se poi si aggiungono altri fattori come un lavoro poco gratificante o la mancata valorizzazione del proprio contributo, il rischio di burn-out aumenta.

Cosa può fare una persona in questa condizione? Innanzitutto, dovrebbe concentrarsi di più sul processo che sul risultato. Il risultato, infatti, dipende anche da circostanze esterne che non sempre si possono controllare. Inoltre, il perfezionista potrebbe cominciare a provare a concentrarsi sulle cose che gli piacciono e su quelle che gli procurano energia nuova, oltre che soddisfazione. Dovrebbe uscire con amici, passare più tempo in famiglia, dedicarsi ai propri hobby e alle proprie passioni.

Il perfezionista dovrebbe anche imparare che sbagliare è umano e che si impara dai propri errori.

Per inventare la lampadina, furono necessari 5000 tentativi!