Come e perché la determinazione e l’impegno possono cambiarti la vita

Parigi, 2004. Un ragazzo esce da un ufficio con il sorriso sulle labbra. Candidato a uno stage, ha appena fatto un colloquio che non si è svolto come previsto.

Il ragazzo, del quale riporto solo il suo nome, Héritier, ha 22 anni ed è arrivato dall’Angola in Francia all’etá di 8 anni, scappando da una guerra civile. Non parlava francese ma fece di tutto per andare bene a scuola, aiutato anche dai suoi familiari e amici. Si lancia poi alla ricerca di lavoretti, per contribuire al bilancio familiare.

Si candida quindi per uno stage presso un’impresa di pulizie. I datori di lavori, pur trovando che Héritier abbia un profilo atipico, sono molto interessati al dinamismo e alla motivazione del ragazzo e il colloquio dura circa 5 ore!

Alla fine del colloquio, Héritier esce senza stage ma con il suo primo contratto di lavoro. L’impresa era appena nata e stava cercando giovani talenti come Héritier, che in pochi anni arriva al top della sua carriera all’interno di quell’azienda.

Decide quindi di andare più lontano e vuole realizzare il suo sogno: fondare la sua propria impresa, un’azienda di pulizie che utilizza esclusivamente prodotti biologici.

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In quegli anni, il suo percorso interessa i media, perché descrive una realtá ancora poco conosciuta: il contributo economico prodotto dai migranti nel paese che li ha accolti.

Con la sua azienda, Héritier ha generato 100.000 euro di fatturato durante il primo anno, cifra che è triplicata nei successivi tre anni.

Héritier è riuscito a trovare la sua strada grazie al suo impegno e alla sua determinazione verso il successo.

Che cosa hai imparato dalla storia di Héritier?

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Cosa ho imparato da Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci è stato il genio più creativo della storia. Certo dire che io ho imparato delle cose da Leonardo è forse un po’ azzardato, perché in effetti Leonardo è l’incarnazione stessa del genio.

Come sappiamo, Leonardo ha vissuto in un’epoca particolare per l’umanità, il Rinascimento, quando la letteratura, la filosofia, le scienze e le belle arti hanno conosciuto uno splendore senza precedenti. L’Italia era in pieno slancio economico e Firenze era diventata la capitale dell’arte.

Leonardo nasce non lontano da Firenze, a Vinci nel 1452. A Firenze impara la pittura, la scultura, l’architettura, la musica, la natura, la scienza, la geografia, la poesia e chi più ne ha più ne metta, perché Leonardo non si è fatto mancare nulla. Del resto abbiamo detto che è un genio, no?

Vediamo alcuni dei suoi principali capolavori:

  1. L’ultima cena, dipinto mitico di difficile conservazione perché Leonardo utilizzò una tecnica di sua invenzione che però nel tempo si rivelò poco adatta.
  2. L’uomo vitruviano, il famoso disegno che illustra le proporzioni del corpo umano.
  3. La Gioconda, ovvero la Monna Lisa, una delle opere più famose e viste al mondo.
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Altre opere sono meno famose ma non meno importanti:

  1. Il Codice Atlantico, che raggruppa la più ampia collezione di scritti e disegni di Leonardo.
  2. Le sue invenzioni futuriste come l’elicottero, l’aereo e il sottomarino.
  3. L’immensa statua raffigurante un cavallo: 70 tonnellate di bronzo e 7 metri d’altezza.

Cosa spingeva Leonardo a fare queste opere, così diverse tra loro? Io penso che sia stato mosso principalmente dalla curiosità di sperimentare e scoprire nuovi orizzonti. Adorava creare e fare delle cose con le sue mani. Amava sognare, progettare, costruire e mettere gambe alle sue idee.

Occuparsi di tutti i suoi progetti, uno dopo l’altro e a volte anche in parallelo, rappresentava per Leonardo lo scopo della sua vita.

La lezione che Leonardo mi ha insegnato è che nella vita bisogna provare, sbagliare e ricominciare per andare avanti. Non importa quante difficoltà incontri. Sicuramente Leonardo è dovuto passare attraverso una serie di sconfitte per arrivare dove é arrivato, ma con determinazione e impegno si é guadagnato il titolo di genio di tutti i tempi. Non ci si dimentica delle sconfitte, ma per potere progredire bisogna imparare da esse.

Quali lezioni hai imparato nella tua vita?

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Migliore amico al lavoro: 3 idee

Hai un buon amico al lavoro? E se sei un capo, pensi che la maggior parte dei tuoi collaboratori abbiano un collega che considerano un buon
amico?
Ricerche condotte negli Stati Uniti dimostrano che:

  1. l’84% di coloro che hanno risposto dicono che non sarebbero contenti di lavorare se non avessero colleghi simpatici;
  2. il 67% afferma di avere almeno un caro amico al lavoro;
  3. coloro che affermano di avere amici tra i colleghi di lavoro sono anche coloro che amano di più andare a lavorare;
  4. il 41% ha lasciato il lavoro perché non amavano l’ambiente;
  5. il 36% dice che sarebbero disposti a guadagnare meno in cambio di un
    ambiente lavorativo ideale.

Gallup.com in un articolo del gennaio 2018 dichiara che le ricerche che hanno condotto nel corso degli anni, mostrano ripetutamente il legame esistente tra avere un caro amico al lavoro e l’impegno messo nel lavoro stesso. Quando gli impiegati si identificano con i colleghi del proprio team, si sentono portati verso azioni positive che beneficiano il business, azioni che altrimenti non avrebbero considerato se non avessero avuto forti relazioni con i loro colleghi.

Un articolo dell’agosto 2017 apparso sull’Harvard Business Review a firma di Emma Seppälä e Marissa King dell’Università di Yale, afferma che le persone che hanno un “migliore amico al lavoro” non sono solo più propensi ad essere felici e godere di buona salute, ma sono anche più impegnate nel loro lavoro. Gli impiegati che dicono di avere amici al lavoro hanno livelli di produttività più alti, sentono meno il bisogno di cambiare lavoro e sono più soddisfatti del lavoro che fanno rispetto alle persone che non hanno amici.

È interessante fare una considerazione sull’ultimo punto (n. 5) dei dati presentati sopra. Un ambiente di lavoro che si avvicina di più ai propri ideali e dove si possono trovare degli amici farebbe rinunciare ad uno stipendio maggiore. Il nocciolo di questa questione risiede nella promozione di una cultura favorevole allo sviluppo di amicizie tra gli impiegati perché in questo modo si otterrebbe un’onestà che i soldi non possono comprare. Le organizzazioni dovrebbero concentrarsi in quello che potrebbero fare per creare una cultura di inclusione e amicizia. Questo non significa forzare gli impiegati a diventare amici, ma piuttosto creare una cultura dove l’amicizia si possa sviluppare naturalmente.

Ecco tre suggerimenti per incoraggiare e sostenere l’amicizia all’interno delle organizzazioni:

  1. promuovere collaborazione e comunicazione aperta;
  2. creare le condizioni per cui la gente si possa incontrare e parlare;
  3. promuovere attività sociali diversificate.

Tu ci proveresti?

Responsabilità e motivazione

Verso la metà degli anni 2000, l’imprenditore americano Brian Robertson pensò che per rendere più efficace il suo business bisognasse cambiare il modo di prendere decisioni. Fu il quel periodo che emerse il concetto di olacrazia per la prima volta.

Secondo Robertson, per funzionare in maniera più agile, la sola soluzione è favorire l’autonomia e ridurre il numero delle parti coinvolte in una decisione. In un’olacrazia, ogni compito/missione aziendale dà luogo alla costituzione di una squadra che è libera di prendere le decisioni che riguardano i propri obiettivi. A condizione, ovviamente, di restare coerenti con gli obiettivi generali dell’impresa.

Cosa significa concretamente lavorare in un ambiente olacratico? Innanzitutto restituire il senso e la responsabilità del proprio lavoro ai collaboratori. Per far questo, ci si può organizzare in gruppi di poche persone, massimo una decina, completamente autonomi. Quindi ciascun gruppo prende delle decisioni concrete per il gruppo stesso, senza che ci sia nessun controllo o nessuna validazione gerarchica.

Per argomenti di importanza strategica, i dibattiti hanno luogo a livello di direzione e tutti vi partecipano. I voti sono uguali. Il voto di un giovane neolaureato alla sua prima esperienza di lavoro conta allo stesso modo di un dipendente di lunga esperienza. I gruppi possono ricevere un budget per finanziare le loro proposte e iniziative varie. Questo permette che le decisioni siano prese rapidamente e che si segua l’intelligenza collettiva.

Questo tipo di organizzazione orizzontale cerca di adattarsi alle esigenze e alle aspettative delle nuove generazioni. Negli ultimi anni, infatti, i giovani in cerca di lavoro richiedono alle aziende flessibilità, autonomia, responsabilità e soprattutto un senso di utilità. I concetti di lavoro senza senso (bullshit job) e brown-out[1]sono sempre più diffusi.

L’olacrazia, mettendo davanti la persona, sembra rispondere a questi problemi perché fa prendere coscienza alla persona stessa della sua importanza all’interno di un team. Responsabilizzare permette di motivare, di coinvolgere e quindi di essere più efficaci. 

Ovviamente, non si andrà sempre d’accordo all’interno di un team. Ma anche questo rappresenta un valore aggiunto, perché lo scopo dell’olacrazia non è quello di eliminare le differenze, anzi tutti sono incoraggiati a prendere la parola, a esprimere i propri dubbi e le proprie perplessità in modo tale da poter analizzare tutte le opzioni e le contraddizioni possibili immediatamente. La soluzione verrà trovata dal gruppo stesso, dopo aver superato le eventuali incomprensioni. Certo, bisogna essere in grado di mettere da parte il proprio ego perché è il progetto collettivo che conta e che è prioritario.


[1]In inglese, il brown-out è il taglio dell’elettricità. In senso esteso, possiamo definire il brown-out come la mancanza di energia nel lavoro dovuta alla percepita mancanza di senso del lavoro stesso.