Il sentiero per la felicità: Le 11 regole di Aristotele

Può sembrare strano pensare che la saggezza di un antico filosofo come Aristotele possa ancora essere attuale in un’epoca frenetica come quella in cui viviamo. Tuttavia, le intuizioni di Aristotele rimangono profondamente rilevanti, offrendo una guida per una vita appagante anche nelle complessità del mondo attuale. Se Aristotele ha parlato di 11 regole per vivere felici, è perché credeva che esistesse davvero una via per l’eudaimonia—un termine greco che racchiude il bene supremo umano, spesso tradotto come felicità.

A prima vista, può sembrare assurdo che i pensieri di un uomo vissuto secoli fa possano riflettere la realtà della nostra società in rapida evoluzione. Ma Aristotele comprendeva la condizione umana in un modo che trascende il tempo. Non importa quanto cambino le tendenze, le mentalità o le aspettative, la ricerca della felicità resta un’obiettivo centrale per le persone. Secondo Aristotele, ci sono 11 regole per raggiungere una vita felice. Se le segui con costanza, la felicità sarà tua—e non solo: scoprirai anche il segreto per vivere la migliore vita possibile.

Cos’è l’Eudaimonia?

Come si raggiunge una vita felice? Cos’è esattamente l’eudaimonia? Secondo Aristotele, è il concetto di una vita ben vissuta, dove la felicità non è solo un’emozione fugace ma il risultato di un’azione continua diretta verso uno stato di benessere e prosperità. Questo concetto va oltre il benessere fisico, includendo ciò che risiede nel profondo del cuore, della mente e dello spirito.

Nell’”Etica Nicomachea,” Aristotele si chiedeva spesso: “Che tipo di persona dovrei essere?”—una domanda molto più profonda della più comune, “Cosa dovrei fare per essere felice?” Un uomo della sua saggezza non poteva accontentarsi della visione comune della felicità. Riconobbe che la vera felicità consiste nel concentrare le proprie risorse ed energie per il miglioramento personale. Questo non solo arricchisce l’individuo, ma influisce positivamente sul mondo che lo circonda, rendendo la vita decisamente gratificante.

Aristotele, che vedeva gli esseri umani come creature intrinsecamente sociali, dediti alle relazioni e alle comunità, affrontò avversità personali, come la perdita del suo grande allievo Alessandro Magno e le successive tensioni politiche. Nonostante queste sfide, Aristotele si considerava felice perché seguiva le 11 regole.

Le regole di Aristotele per la felicità sono davvero efficaci?

La prima domanda da porsi è se si conosce davvero ciò che si vuole essere. In molti casi, l’assenza di obiettivi e il senso di frustrazione sono dovuti alla mancaza di consapevolezza di chi si vuole essere, di quali sono i propri obiettivi. Gli esseri umani sono fatti per esplorare sia il mondo che sé stessi. Senza un percorso chiaro o una comprensione di chi potrebbero diventare, non possono sapere cosa fare per raggiungere la felicità. Seguendo le semplici 11 regole di Aristotele, si può trasformare positivamente la propria vita.

L’eudaimonia, lo stato di vivere bene e prosperare, si raggiunge attraverso la virtù. La persona che si desidera essere deve diventare virtuosa. Le virtù sono tratti caratteriali e tendenze che, se praticati costantemente, diventano ottime abitudini. Le persone virtuose diventano modelli per sé stesse e per gli altri, contribuendo cosí a una società migliore. Queste virtù sono il “giusto mezzo,” regole d’oro che aiutano a raggiungere l’obiettivo finale.

Le virtù sono 11, come le 11 regole per l’eudaimonia. Eccole qui:

  • La prima è il Coraggio—una persona lo possiede davvero quando, consapevole dei pericoli, lotta per i propri sogni.
  • Segue la Temperanza, che si trova tra l’eccesso e la mancanza. Per Aristotele, per esempio, sbaglia sia l’uomo che beve troppo, sia quello che non beve mai. La chiave è trovare il giusto equilibrio.
  • Poi c’è la Generositá—dare agli altri più di quanto si possieda, specialmente facendo del bene.
  • La Magnificenza è sapere di essere grandi e aspirare al massimo senza ostentare.
  • La Magnanimità consiste nel servire gli altri con bontà senza cadere vittime dell’orgoglio.
  • La Pazienza sfogarsi va bene, ma di fronte alle avversità, bisogna evitare scoppi d’ira e mantenere la calma perché questo ci aiuta ad affrontare meglio le sfide.
  • La Sincerità—l’onestà ripaga sempre, anche quando sembra impossibile e pensiamo che potrebbe causarci problemi. Ricorda che la verità trova sempre la sua strada.
  • L’Humor e la Cordialità vanno di pari passo, e riguardano l’arte dell’interazione sociale con vero umorismo, senza essere volgari o invadenti.
  • La Vergogna riguarda la consapevolezza dei propri limiti—evitando di diventare sfacciati o troppo timidi.
  • Infine, ma non meno importante, c’è la Giustizia—l’ideale che anima tutto e ci guida ad agire con rettitudine.

La chiave è applicare queste regole in base alla situazione e alla propria etica. Così facendo, puoi aspirare a diventare la persona che desideri essere, virtuosa e felice all’interno della società in cui vivi.

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Il gallo meraviglioso: una favola africana

Mancava poco al tramonto, il cielo, tutto colorato di arancio, prendeva in prestito dalla notte il suo travestimento più enigmatico. Nella città pervasa dal rumore di un torrente, un vecchio, prossimo alla morte, chiamò il suo unico figlio e gli disse: “Ascolta mia dolce creatura, presto ti lascerò per ricongiungermi con i nostri antenati. Ho pensato a te, io ti lascio in eredità il gallo meraviglioso che ha fatto la fortuna mia e di mio padre, affinché assicuri anche per te la ricchezza. Grazie a lui potrai avere una vita felice e fare sempre l’elemosina ai poveri. Non è un gallo che si incontra in tutti i pollai. Da più generazioni viene tramandato di padre in figlio. Tu veglierai d’ora in poi su di lui con molto impegno”. Morto che fu il padre, il figlio organizzò un grandioso funerale dove convocò i parenti e gli amici.

Trascorso il periodo del lutto, il giovanotto decise di partecipare col suo gallo da combattimento a molti tornei, dove si trovò a lottare con i migliori galli del mondo. Per molti anni il gallo vinse tutti i combattimenti, procurando al suo proprietario fortuna e considerazione. Tutti i re lo volevano comprare, ma egli non accettò di sbarazzarsene nemmeno quando glielo avrebbero acquistato a peso d’oro. Diventato potente e ricco, costruì un immenso palazzo sulle rovine della vecchia casa paterna. Aveva tanti servi e procurava molto lavoro alla gente che ne aveva bisogno. Creò una scuola per i fanciulli del villaggio dove apprendevano molte discipline.

Questo successo non avvenne senza suscitare gelosie. Una sua vicina, invidiosa della sua felicità, decise di rendergli la vita più dura. Ebbe l’idea di portare del mais al gallo. Il gallo, quando vide i chicchi appetitosi, vi ci avventò sopra e non smise di mangiarli finché non fu sazio: diventò così grasso che poteva appena camminare.

Fu a quel punto che la crudele donna andò a far visita al suo vicino e gli disse: “Il tuo gallo ha rubato il mio mais e non mi è rimasto niente da mangiare”. Il giovane, imbarazzato, rispose: “Cara amica, calmati, ti pagherò il tuo mais!”“No!” esclamò lei “no, no e poi no! Io rivoglio il mio mais, quello che il tuo gallo ha mangiato! Uccidi il gallo e rendimi il mio mais!”.

L’atmosfera era tesissima, piena di elettricità, come quando sta per scatenarsi un temporale. La donna, piena di collera e resa cieca dalla cupidigia, si mostrò irremovibile. Disperato il giovane gli offrì tutte le sue ricchezze, il suo palazzo, i suoi gioielli, i suoi diamanti, al fine di salvare il gallo, ma non servì a farle cambiare idea. Imperturbabile, la donna considerava la sua decisione non negoziabile. Il problema fu portato davanti al Consiglio dei Saggi, che ascoltò la discussione. Gelosi come erano, tutti i membri Consiglio richiesero la morte del colpevole che, con la pancia piena, sonnecchiava nell’orto; andarono a prenderlo e lo uccisero.

I chicchi di mais furono restituiti alla proprietaria. Crudelmente provato da questa ingiustizia, il giovane deperì a vista d’occhio. Colpito dal dolore, era distrutto e ogni giorno più triste. Sotterrò in segreto il cadavere del gallo dietro il suo palazzo e, ferito nel profondo dell’animo, si rinchiuse per molti mesi nella sua abitazione. Un giorno, nel posto dove riposava il gallo, nacque un mango dai frutti allettanti. La vicina invidiosa, che era ghiotta e sfrontata, andò a chiedere un frutto al proprietario del mango, che non rifiutò. La donna fece venire il suo unico figlio e lo spinse a mangiarne anche lui. Così ne mangiarono molti, non uno solo come aveva detto al proprietario!

Il giorno dopo, al levarsi del sole, in assenza del proprietario dell’albero, il figlio della donna invidiosa, andò di nuovo, questa volta senza permesso, a cogliere i deliziosi frutti. Salito in cima al mango, sceglieva quelli più maturi e li mangiava, ma stupidamente lasciava cascare i noccioli e le bucce in terra. Il proprietario dell’albero, tornando dalla sua passeggiata, si accorse del fanciullo appollaiato lassù su un ramo dell’albero; questi masticava un frutto e sembrava completamente indifferente alla sua presenza. A un tratto, un mango, sfuggito dalle mani del ladruncolo, cascò sulla testa del proprietario. Furioso e assetato di vendetta, l’uomo radunò tutto il villaggio, compreso il Consiglio dei Saggi.

Appena tutti furono riuniti, egli dichiarò minaccioso: “Chi ha mangiato i miei manghi deve restituirmeli!” Tutti i presenti approvarono.

Informata dal Consiglio dei Saggi, la madre del colpevole si presentò tutta trafelata e disse al proprietario: “Ti restituirò i tuoi frutti!”.

Ma lui, ricordandosi della morte ingiusta del gallo, le disse “Oh donna, poiché la tua giustizia fu buona per il passato, questa lo sarà di nuovo oggi. Io ti reclamo proprio quei frutti che sono stati mangiati da tuo figlio”.

Il Consiglio dei Saggi riconobbe ch’egli era in diritto di esigere una giustizia equa. Piangendo e supplicando il suo vicino, la donna offrì tutti i suoi beni in cambio della vita del figlio. Niente da fare, secondo la legge, il ragazzo doveva subire la stessa sorte del povero gallo. Tuttavia l’uomo dichiarò che era pronto a perdonarle tutte le cattiverie passate. Egli si ritirò dunque nel suo palazzo, lasciando salvo il figlio della vicina.

Scioccata da tutta quella confusione, risparmiata dalla sorte, ma vergognandosi, la donna comprese che suo figlio doveva la vita a quest’uomo. Supplicò allora il cielo di liberarla della sua gelosia e dei suoi passati misfatti. Il destino le aveva dato una dolorosa lezione e comprese infine che l’invidia distrugge chi la nutre.